Ben poche sono le notizie che ci sono pervenute dal Medioevo a proposito della zona vesuviana. Dopo la paurosa eruzione del 79 d.C., i luoghi intorno al Vesuvio cadono in un'oscurità quasi completa. Le poche notizie  che abbiamo si riducono al ricordo di alcune spaventose eruzioni vesuviane, ad alcune vicende belliche nella lotta tra Goti e Bizantini, alla permanenza dei Saraceni per un breve periodo. Questo sembra confermare che dopo l'eruzione del 79 d.C. le città di Pompei ed Ercolano, non furono ricostruite. Ciò è documentato dalle conclusioni della commissione nominata dall'imperatore Tito, che vista l'entità dei danni dichiarò l'impossibilità di ricostruire le città. Inoltre se le città fossero sopravvissute in qualche modo avrebbero provveduto loro stesse alla loro sopravvivenza nel medioevo con opportune fortificazioni, con propri capi e magistrati di cui sarebbe rimasta qualche traccia. Sembra dunque molto probabile che i loro territori fossero inglobati nella vicina Napoli. Solo quando il Ducato di Napoli acquistò un'effettiva autonomia e fu in grado di assicurare una certa protezione si presume si sia cominciato a bonificare le zone più vicine alla città occupate nel frattempo da una fitta vegetazione boscosa. Il lavoro di bonifica non è stato facile e solo lentamente si riconquistarono le falde del Vesuvio all'agricoltura. Vari documenti riportati dal Capasso datati fra l'836 e l'881 documentano quest'opera di bonifica.

Dei Saraceni, invitati dal vescovo napoletano Attanasio II, ci parla lo storico medioevale Erchemperto, monaco cassinese, continuatore della "Historia Longobardorum" di Paolo Diacono. Attanasio II governò la Diocesi di Napoli dall'875 all'898. Di lui Erchemperto racconta: "In questi giorni (siamo nell'anno 881) Attansio II, mandati degli ambasciatori in Sicilia, essendo accampati alla radice del monte Vesuvio i Saraceni, prega il re Suchaimo di venire e mettersi a loro capo. Cosa che presto si ritorse  contro lo stesso Attanasio, in quanto Suchaimo e i Saraceni cominciarono ad affliggere la città di Napoli, pretendendo con la forza fanciulle, cavalli e armi. Preoccupato da questa tragedia, Attanasio chiamò in suo aiuto il principe Guaimaro e tutti i Capuani dalle città, dalle fortificazioni e dalle zone marittime. In questo modo riuscirono a scacciare con la forza i Saraceni dalle zone alle falde del Vesuvio, per respingerli nella zona di Agropoli". Dove fossero accampati precisamente i Saraceni non è sicuro, ma un detto popolare riportato anche da alcuni storici, sembra confermare che "Quattro sono il luoghi della Saracina, Portici, Cremano, la Torre e Resina". Per proteggersi contro le incursioni dei saraceni e dei pirati di ogni genere, fu poi necessario costruire torri di difesa lungo la costa, tra esse possono annoverarsi quella del bosco delle Mortelle e quella del Duca di Bagnara.

È in questo quadro approssimativo che va inserita l'origine di Portici. La città è citata per la prima volta in un documento dell'anno 968 riguardante l'acquisto di un fondo ivi ubicato. Secondo l'Ascione è probabile che sin dalle origini Portici avesse una certa consistenza ed essere abbastanza estesa, visto che gli Angioini tassarono Portici in modo superiore rispetto ai luoghi vicini come S. Giorgio o Resina. Essendovi come visto un vuoto fra il periodo romano e quello medievale, dove sembra potersi inquadrare l'origine della città, dobbiamo rifiutare le etimologie che vogliono il nome Portici derivare da Quinto Ponzio Aquila o dai portici del foro di Ercolano, visto che quando il toponimo nacque la memoria di Ercolano era momentaneamente perduta. Seppure nella attesa di conferme più solide, sembra essere più attendibile una nuova ipotesi sull'origine del nome Portici da Portico-Porticus che in latino significa recinto per animali. Altro elemento su cui si basa quest'ipotesi è la presenza di questa forma in alcuni documenti in cui Portici è chiamata Portico nel 1126 e Porticus nel 1271. Inoltre l'origine agricola del toponimo potrebbe essere confermata da ricerche simili fatte dall'Alagi per S.Giorgio, dal Capasso  per Portici e dal Carotenuto per Ercolano. Si tratta, lo ripetiamo di elementi frammentari, ma abbastanza attendibili.

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>Nel XV secolo, la sua storia comincia ad essere più nota e precisa. Sappiamo infatti che la Regina Giovanna II, vendette la cittadina in feudo, con Cremano, Resina e Torre del Greco, come castellanìa a Giovanni Caracciolo, detto Sergianni, per 2000 ducati d'oro. Sergianni fu il primo feudatario di Portici. Grazie alla posizione privilegiata di "favorito" e consigliere della sovrana angionina, Sergianni, discendente di un ramo della famiglia Caracciolo detto "del Sole", acquistò un crescente potere sul Regno di Napoli che gli valse l'accumulo di un cospicuo patrimonio personale fatto di numerosi feudi e proprietà. Intorno al 1425 egli contava già i titoli di Gran Siniscalco del Regno di Napoli; Conte di Avellino col possesso di Capua, Sant'Erasmo, Santa Maria Capua Vetere, Torre del Greco, Ottaiano, Policastro, Lagonegro, Campagna, Contursi, Postiglione e Roccagloriosa; Signore di Cerignola e Orta (feudi acquistati e poi ceduti al fratello Marino); Conte di San Giorgio e Duca di Venosa col possesso di Melfi, Atella, Ripacandida e Rapolla.

La sua relazione con la regina Giovanna ebbe inizio intorno al 1416, quando la sovrana si scontrò duramente col marito Giacomo II di Borbone per la pretesa di questi di essere insignito del titolo regio in luogo di quello di Principe di Taranto. La nobiltà napoletana fedele agli Angioini diede vita ad una violenta sommossa contro Giacomo, che nel 1418 fu costretto ad abbandonare Napoli. Fra il Caracciolo e Giovanna nacque un rapporto turbolento, continuamente scosso da contrasti e disaccordi, viziato all'origine dall'intreccio di sentimenti, ambizioni e potere sul quale reggeva. Tuttavia, Sergianni esercitò per decenni un'influenza enorme sulla regina, che da parte sua cedette a poco a poco il suo potere all'amante fino a restarne ella stessa sopraffatta. Già a partire dai primi anni della relazione, Sergianni ebbe un ruolo fondamentale nella politica del regno di Napoli, investito dell'autorità di assumere motu proprio molte decisioni cruciali fino a diventare egli stesso l'arbitro e il padrone del reame.

Ritratto in Armatura del Duca Sergianni CaraccioloA lui si deve la rottura fra la regina e il papa Martino V, che in quanto signore feudale del regno napoletano aveva chiesto a Giovanna sostegno economico per la ricostituzione del suo esercito. Sergianni istigò la sovrana a rifiutare il contributo al pontefice, il quale, di fronte al rifiuto, decise di passare alla rappresaglia. Trovato un alleato in Luigi III d'Angiò, nel 1420 Martino V lo investì dei diritti sul regno e lo inviò contro Giovanna, che da parte sua, grazie alle manovre politiche del Caracciolo, ottenne l'alleanza del potente Alfonso V d'Aragona, creando le premesse per la guerra di successione che si scatenò dopo la sua morte.

Nel giro di pochi anni i rapporti fra Giovanna e Alfonso, nominato erede al trono, degenerarono in un violento scontro che coinvolse anche il Caracciolo. Profondamente odiato dall'Aragonese per l'immenso potere che egli deteneva, nel maggio del 1423 Sergianni fu tratto in arresto da Alfonso, i cui soldati posero d'assedio Castel Capuano per costringere Giovanna alla resa. L'assedio fallì e Alfonso barattò la liberazione di alcuni prigionieri col rilascio di Sergianni. Questi, insieme alla regina, lasciò Napoli alla volta di Aversa, dove avvenne l'incontro pacificatore con Luigi III d'Angiò. Sempre su indicazione di Sergianni, la regina prese le distanze dal sovrano aragonese e ne annullò l'adozione, nominando Luigi suo nuovo erede mentre Alfonso faceva ritorno in patria per dirimere le controversie scoppiate tra i fratelli.

Nei dieci anni che seguirono, il potere di Sergianni Caracciolo crebbe ulteriormente. Giovanna delegò a lui ogni responsabilità nella gestione dello Stato, conducendo di fatto vita privata. L'equilibrio raggiunto fra i due amanti giovò anche al regno ma durò meno del previsto. La sfrenata ambizione del Caracciolo, sempre più avido di potere e ricchezze, cominciò ad irritare la regina, stanca di quella posizione di sottomissione ai voleri di un uomo che lei stessa aveva reso così potente. A convincere Giovanna ad attuare una soluzione estrema furono i consiglieri della sua corte, tra cui un ruolo importante sembra aver rivestito anche la Duchessa di Sessa, Cubella Rufo, che ordirono insieme a lei l'eliminazione dello scomodo amante. Il complotto scattò la notte del 19 agosto 1432 nelle stanze di Castel Capuano: Sergianni fu assalito nel buio da un gruppo di sicari e assassinato a pugnalate, mentre Giovanna, così racconta la leggenda, udiva impassibile gli ultimi rantoli del suo favorito dalla camera accanto. Il giorno seguente, la regina confiscò la contea di Avellino. Il corpo di Sergianni Caracciolo fu sepolto a Napoli, nella chiesa di San Giovanni a Carbonara.

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Il feudo di Portici divenne libero nel 1418, non si sa bene se perché Sergianni ricevette in cambio il principato di Capua o se perché la Regina avvalendosi di una clasuola del contratto restituì il denaro ricevuto. Ma non restò libero a lungo, in quanto la Regina avendo bisogno di danaro lo cedette ad Antonio Carafa (detto Malizia) per un tributo annuo di 1600 ducati d'oro. I Carafa, furono feudatari di Portici molto a lungo, salvo il periodo dal 1454 al 1500, in cui il feudo fu ceduto all'Arcivescovo e Cardinale di Napoli, Raimondo Piscicelli, il quale avanzò pretese e diritti sul feudo che gli vennero riconosciuti dal Re. Tornato ai Carafa il feudo fu ceduto in burgensatico nel 1566 al marchese di Torre Maggiore e, alla sua morte, passò a suo figlio don Francesco Principe di Sangro che lo vendette al marchese di Casalbore, don Marcello Caracciolo. Nel 1574 il feudo fu devoluto alla Regia Corte, ma ritornò subito ai Carafa, dei quali furono baroni, successivamente, Luigi, Antonio, poi un altro Luigi, quindi Anna Carafa e infine Nicola Guzman Carafa. Alla sua morte, avvenuta nel 1689, la sorella, Sidonia Maria de Toledo y Velasco, prese possesso del feudo per poi cederlo il 31 gennaio 1697 a Maria Geltrude, baronessa di Wolf de Guttenberg e contessa di Berlips. Quest'ultima lo vendette il 29 settembre 1698 a Mario Loffredo, marchese di Monteforte, che fu appunto l'ultimo feudatario di Portici.